Categoria: XIV secolo

  • Pere Alemany, «Ay, senyer, saludar m’ets?»

    Pere Alemany, «Ay, senyer, saludar m’ets?»

    «Ay, senyer, saludar m’ets?» 
    «Ma dança, Deus vos don jay.
    D’un venits?» «Eu ’s o diray:

    de leys que n’es blanxa, saura».
    «Dança, quo·l va? » « Senher, be, per ma fe».
    «Ay las, porets pendre haura
    qu’eu la veja çela re?»
    «Far cove,
    qu’autreyat m’o ha tres vets».
    «Er me diats, donchs, quo·l play».
    «Mon senyer, eu ’s o diray:

    que·n veniats una nuyt foscha
    ab paubr’arnes descosuts
    e romputs,
    per ço quom nuls no us conoscha.
    Direts: "Fay be al hom nuts",
    e Na Luts
    fara ’ntrar vostre sos quets.
    Adonchs veyrets son cors guay
    e mays qu’eras no us diray.

    Ab tan guarrets d’aytal bascha».
    «Oc, si vos no·m vas trixan gualian».
    « A Deu prech, que buba·m nascha
    si u fas, En Per’Alamayn,
    tan ne quan;
    enpero, vos o veyrets».
    «Vostre sia tot quan hay».
    «Merce, senyer, vos diray».

    «Ffay tot bes, vos, que u farets».
    « Vas Na Luts m’en tornaray,
    es un pauquet li diray».

    Traduzione

  • El Capellà de Bolquera, Ffis vos suy ayman

    El Capellà de Bolquera, Ffis vos suy ayman

    Dançia retronxada

    Ffis vos suy ayman
    ses engan
    ab ferm talan,
    cors benestan;
    donchs, prenda us merces,
    pus tot bes,
    dompna, ’n vos es,
    que no m’alçiats desiran
    .

    Als prims can vos vi
    vos plevi
    ab cor fi,
    dompna, mi
    e tots quants bes pusch far ni dir,
    ab cor que no·m gir
    de servir
    vos, qu’eu mir
    e desir
    dins mon cors ser e mayti;
    per que sopleyan
    vos deman,
    merce claman,
    cors benestan;
    donchs, prenda us merces,
    pus tot bes,
    dompna, ’n vos es,
    que no m’alçiats desiran
    .

    Vos ets mon deport
    e conort
    e confort;
    per que us port
    leyal amor e u[s] suy aclis,
    tan gin mi conquis
    le dolç ris
    e·l clar vis,
    flor de lis,
    d’un crey qu’enpendray la mort;
    e s’ieu muyr ayman
    blasmar m’an
    vostre prets gran,
    cors benestan;
    donchs, prenda us merces,
    pus tot bes,
    dompna, ’n vos es,
    que no m’alçiats desiran
    .

    Ffort suy envejos
    e yoyos,
    amoros;
    car est cors
    vos pogues dir le mal que tray,
    li pen’e l’esglay
    ne l’esmay!
    Car be say
    que jamay
    no forets de tan brau respost,
    e fora·n dos tan
    lo meu xan
    pus agradan,
    cors benestan;
    donchs, prenda us merces,
    pus tot bes,
    dompna, ’n vos es,
    que no m’alçiats desiran
    .

    Mon Bel Liaman,
    nuyl afan
    no m’es tan gran
    con vau lunyan;
    cors benestan;
    donchs, prenda us merces,
    pus tot bes,
    dompna, ’n vos es,
    que no m’alçiats desiran
    .

    Danza ritornellata

    Testo a fronte

  • Elisha ben Abraham Cresques, Il Mapamundi catalano del 1375

    Elisha ben Abraham Cresques, Il Mapamundi catalano del 1375

    Il Mapamundi è uno degli esemplari più  dettagliati e artisticamente elaborati della cosmologia e della cartografia medievale. Il manufatto fu allestito verso il 1375, probabilmente nell’isola di Maiorca ed è ormai unanimemente attribuibito a Elisha ben Abraham Cresques, maestro cartografo ebreo al servizio della Corona d’Aragona.

    Pergamenaceo, ricchissimo di minature e decorazioni coloratissime, il Mapamundi è costituito di dodici fogli rettangolari incollati su sei tavolette lignee ripiegate, che possono tuttavia essere disposte una di seguito all’altra, per formare un blocco di circa tre metri di lunghezza e di oltre 60 cm di altezza. Le didascalie e i toponimi sono scritti nella lingua della Corona d’Aragona, il catalano. I primi quattro fogli forniscono informazioni cosmografiche, astrologiche e marittime, in particolare sulle maree e sulle lunazioni. 

    Negli otto fogli che seguono viene rappresentato il mondo allora conosciuto, fino all’Estremo Oriente. Dettagliatissimo per ciò che riguarda la cartografia marittima del Mediterraneo, tanto da potersi considerare alla stregua di un portolano, va via via sfumando il dettaglio con l’allontanarsi dal mondo noto, aumentando però al contempo la raffigurazione di dettagli antropici di natura leggendaria. Sulla carta si distribuiscono innumerevoli toponimi scritti, a seconda della loro importanza, con inchiostro nero, rosso o oro. Cartigli e didascalie vengono utilizzati per l’esplicazione delle raffigurazioni che spesseggiano nelle varie tavole del Mapamundi. Gli insediamenti umani sono rappresentati, oltre che mediante i toponimi, con la raffigurazione di edifici e di bandiere, che permettono di individuare i paesi cristiani, musulmani e alcuni insediamenti di ebrei. Le città più importanti mostrano mura di cinta da cui s’innalzano torri e bastioni. Tratti curvilinei di colore azzurro rappresentano i principali fiumi, mentre gli oceani, i mari e i laghi sono raffigurati con onde azzurre (tranne il Mar Rosso, che è del colore che gli dà il nome). I rilievi e le catene montuose sono figurati come prominenze brune o verdi, tranne l’Atlante in Africa, disegnato come un cordone dorato con tre punte alla fine. La geografia umana delle regioni meno conosciute dagli occidentali è data da coloratissime raffigurazioni di sovrani seduti sul trono e non mancano scene corredate da cartigli aneddotici e da informazioni etnografiche e religiose. Molte le raffigurazioni di vari animali esotici. Per la prima volta in una carta geografica, le informazioni sull’estremo oriente vengono desunte, per la gran parte, dall’opera di Marco Polo, di cui esisteva una redazione in catalano con cui alcune didascalie del Mapamundi presentano coincidenze evidenti. Il territorio dei tartari è rappresentato con dovizia di particolari e con una certa perizia riguardo alle dominazioni che vi si sono succedute. Anche l’area dell’Oceano indiano risulta dipinta con accuratezza, insieme alle innumerevoli isole che vi figurano. Tra le notizie vicine alla versione catalana del Devisement dou monde troviamo, alla tavola 12, quella sulla città di Gamalech e quella riservata a Kublai Khan. Notevoli similitudini si hanno anche nella collocazione di alcune vicende del Prete Gianni in rapporto ai territori africani di Etiopia e di Nubia (tavola 8). Rinviano ai racconti poliani la miniatura di una carovana di uomini che si recano con cammelli e cavalli nel Catai dall’Impero di Sara (tav. 10) e l’affine didascalia; quella dei musicisti che accompagna la cerimonia di cremazione di un defunto (tav. 11); dei popoli di Gog e Magog (tavole 11 e 12); dei pescatori di perle (tavola 9); quella infine che ritrae l’estrazione dei diamanti dalle montagne, utilizzando delle esche di carne atte a ricoprire i preziosi, che vengono poi raccolte e portate a valle da enormi uccelli (tav 11.), ma molte altre se ne potrebbero allegare. Con qualche allievo abbiamo realizzato l’edizione digitale di quest’opera meravigiosa: la si consulta qui.